LORUSSO GIACINTO AZIENDA

Non mi è mai capitato di dire in questo libro, e nelle sue varie rassegne, che la provincia di Bari ha in Altamura, Gravina e Spinazzola una plaga che della regione pugliese perde quasi tutte le caratteristiche.

L’accento dei cittadini ed il colorito giallognolo della terra, gli alberi che si diradano e l’organizzazione della vita cittadina fanno più ricordare la sconfinante e composta Lucania. Solo qualche Cattedrale e qualche tempio ci riportano alle Cattedrali ed ai templi di Puglia.

Approfondivo di più questa considerazione, reduce da Poggiolorusso, dove ero stato a far visita ad uno dei più notevoli agricoltori di quella zona: Giacinto Lorusso. Avevo parlato a lungo con lui, osservato attentamente la sua fattoria e la sua persona, i suoi coloni e la sua casa di campagna, ed avevo rivisto in lui tanta gente passata ed amata della mia terra Lucana. Avevo trovato sua quella particolare e fastosa grazia che è dei signori agrari lucani, che come sono dediti del tutto alla loro terra livida e giallastra, così non sanno distaccare il loro cuore e la loro mente da cani e da cavalli, esperti in polvere da sparo e conoscono le marche degli schioppi meno fallaci.

Giacinto Lorusso, incoronato da una larga paglia, mi mostrava, nel loro scheletrico, ispido, onnipotente volto, le varie macchine agricole, che egli aveva dovuto scegliere come amanti; me ne descrisse con raffinata pacatezza le loro funzioni e le loro particolarità: arare e innestare, arare e irrorare, mietere e trebbiare. Sembravano tanti indefiniti assoluti, sembrava (ciò che è un poco) che fossero i canoni della georgica moderna.

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La tenuta Poggiolorusso ha una superficie di 400 ha; si stende in lungo e in largo, superando una specie di canale e degradando in collina. A destra il visitatore trova la « domus aurea », la casa del padrone, che non manca di una notevole raffinatezza di origine; vi succedono la « casa meccanica », la « istrumentaria » ove vanno a riposare le macchine e poi le cose coloniche che sono appollaiate ai piedi della casa che comanda, e poi le stalle e le scuderie.

Apprendo che questa tenuta superba fu ereditata nel 1923, da quando l’ereditò dal padre Giovanni. La tenuta era bella e fertile, ma dovette essere ancora più bella e più fertile nel 1927, se in quest’epoca, al 3. Concorso Nazionale delle grandi aziende, il nuovo padrone poteva menar vanto di aver avuto assegnato il primo posto in classifica tra gli agricoltori di Puglia ed il 17.mo tra quelli della Nazione.

Giovanissimo, capo di azienda e posto nel fortunato caso di «padrone sono me» il Lorusso, che è uomo di mondo e che da alcuni aneddoti che ci narra mostra di aver avuto una giovinezza pepata, finisce col mettere su famiglia, e, quando pone a dormire la sua giovinezza, comincia a risvegliare attitudini di agricoltore.

Alla industria cerealicola consocia la viticultura ed il mandorlo; applica primissimo l’aratro fognatore, tra i primi il mietitrebbia, ed ancora macchine su macchine.

Poggiolorusso ne è squarciata, spaccata, bonificata. Occorre dare molto grano e bel grano, uva bella e gran vino. C’è l’orgoglio del proprietario giovanissimo e del signore!

Ed anche questa, come altre volte, congedandoci da questo ospitale amico, ci piacque vederlo come un «piccolo padre» tra i suoi uomini di campagna, con tutto l’orgoglio di un patriarca 900.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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