D’INNELLA AZIENDA
Il povero pubblicista in pellegrinaggio appulo-Lucano ha il cuore serrato da tante morse.
La prima: il treno si scombicchera e si sgranocchia con la micidiale lentezza di queste locomotive secondarie che sembrano fatte per far godere paesaggi e per riprese fotografiche a compassati turisti teutonici.
Io penso, accasciato in un angolo, che fino a pochi giorni scorsi correvo in lungo e in largo l’Italia geografica in una automobile linda e modesta. Ero diventato una specie di Passatore, cortese re della strada. Ora la macchina « linda e modesta » è stata messa a dormire come una vecchia chitarra, in attesa che i miei vecchi alleati inglesi non mettano a dormire, sotto l’aceto di un’esperienza non ancora fermentata certe idee sulla mia macchina, su me, quale uomo e quale automobilista sul mio paese.
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Ecco un vecchio viaggiatore. Ecco un massaro fumatore di trinciato forte. Ecco un prete, Ecco…
Aver abbandonato il treno significa aver interrotto la vita. Penso che l’automobile contribuisca a render più malinconici ed ipocondrici i poveri viaggiatori e tutti quelli che, dai colloqui in treno (sia pur secondari) erano abituati ad apprendere le notizie vere di tutto il pettegolezzo mondiale, ossia della vera marca delle pipe usate da sir Simon alle ultime indiscrezioni sulle interviste del nostro buon amico Ailè Selassiè.
– E lei?
– Io?! Ottimamente!
– Prego, volevo dire anche lei a Spinazzola?
– Come fa a saperlo?
– Io sono un vecchio viaggiatore e so tutto. Lei non può che recarsi a Spinazzola.
– Quanto a questo…
– Le spiego…
– Non mi spieghi più nulla, amico mio. Lei è un indovino!
– No. Sono un rappresentante di…
– Concimi?
– …macchè.
– diplomatico?
– …paste almentari?
– Ci pensi meglio!
– Mai più! Preferisco considerarla un uomo misterioso e non pensarci più.
Noi ex automobilisti ritornati ai treni da qualche giorno, abbiamo la parola facile, spigliata ed anche di spirito.
In altri termini, abbiamo, intanto, messo knok-out il nostro bravo viaggiatore.
– Illusione!
– Io potrei indovinare dove ella si reca. Scommette ?
– Un sigaro contro tre sigari
– Due sigari centro otto sigari.
– Cinque sigari contro cinquanta!
Il mio iniquo interlocutore, che ha tutta la sapienza dei viaggiatori della terra (esclusi gli inglesi, che sono ormai idonei solo a studiar sanzioni, senza neppure aggrottar le ciglia, mi dice:
Lei va dai D’Innella!
Io ho perduto i miei cinquanta sigari!
Sono un ex giocatore e non vengo meno di colpo.
E poi abbiamo anche toccato terra.
Evviva Cristoforo Colombo!
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Giacchè ho saldato la scommessa ed ho riportato una enorme impressione su questo arcigno chiromante che sa indovinare i pensieri e le attitudini più ascose, ho chiesto di lui, indicandolo al capostazione.
– Macchè! E’ un povero diavolo. E’ un ex rappresentante di sali inglesi…
– E quanto agli indovini…
E’ assai facile indovinare che un visitatore di Spinazzola si rechi dai D’Innella. Pensi, 4, 5, 6 fratelli, 5, 8, 10, 20, 30 cugidi, 10, 20, 30 nipoti.
– Senta, vuol scommettere 2 sigari contro 4 sigari che…
Non rispondo e scappo. Giacchè io sono un povero pubblicista che deve attingere dati e notizie su famiglie e su industrie, su agricoltori e commercianti, le idee che l’ilare capostazione mi ha ficcato in testa, dei venti figli e dei cento nipoti e dei 4 padri, mi hanno sconcertato. Vedo ormai questa terra aspra e feroce percorsa in lungo ed in largo da guerrieri a cavallo e che son tutti D’Innella, da colonne D’Innella, da fiumi d’innelliani!
Picchiate e vi sarà aperto!
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Chiedo al mio dotto interlocutore, che è poi una gentilissima autorità cittadina:
– Ma quanti rami ha questa benedetta famiglia?
– Quattro!
– Allora quattro attrezzature agricole, quattro…
– No. Un patriarcato. Quasi unico nella nostra gente di Puglia. Un patriarcato. La forza di questa gente originaria di Brindisi, acclimatatisi nei primi dell’800 in Lucania, a Maschito, è nell’unità. Hanno volontà dura e tenace, laboriosità ed amorevolezza, ingegno e probità.
Pensi un po’ ad una confederazione di famiglie, ad un’assemblea di nipoti e ad un governo di figli.
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Vincenzo D’Innella era il gran Patriarca. Imperò dal 1830 al 1911. Agricoltore, era di stirpe mercantile ed i suoi avi avevano battuto in furberie gli albanesi ed i levantini. Ebbe quattro figliuoli: Michele, Giuseppe, Rocco e Pasquale. Nomi cari e patroni dei nostri paesi della Lucania e della Puglia. Vincenzo alleva la prole nutricandola di latte di pecore e di acqua di rocce e di pane nero. Onestà e durezza. Li educa un po’ come agnelli ed un po’ come mastini. Belare e saper mordere. Nel 1870 i quattro giovanotti hanno i calzoni lunghi e curano il ciuffo, per innamorar ragazze.
Don Vincenzo dice loro: Bella cosa il vostro ciuffo, se alle ragazze non avete da portare un bel portafogli. Vi pare che ad affittare e ad ingrossare terre d’altri c’è poi da curarsi il ciuffo?
Allora Michele ride più di Giuseppe e Rocco più di Pasquale.
Allora forza, ad allevar bestiame! Le più belle vacche, i tori più feroci e gli agnelli più morbidi batteranno i prati delle terre fittate dal Patriarca. Formaggi e lane da sbalordire i paesi vicini. Giumente e muli che nelle fiere si comincerà a parlare di questi quattro ragazzi. Ed il patriarca bofonchierà di sotto i baffi.
Nel 1900, come sotto la spinta di un’occupazione militare, le masserie «Fontanalarena» e « Cavone » cadranno nelle mani degli aquilotti. Nel 1908 «Santa Lucia» e «Bilanzone» si arrenderanno, nuove masserie conquistate, ma con la dedizione di una donna piegata e vinta dall’amore. Nel 1918 la bandiera del Patriarca sventolerà su Santalucia (Pulcinella) e su Paredana.
Dal 1924 in su «Campo» e «Lamia» e il feudo di «San Francesco» dei duchi Carafa d’Andria saranno passati a fil di spada.
Terra su terra questa stirpe di contadini e di colonizzatori avrà superato a quest’epoca i 2000 ettari di terreno. Ma le femine di casa avranno messo tante bandiere per diecine di nati. La casa di don Michele ha varato Vincenzo, Emanuele, Giuseppe, Alfredo, Luigi. Don Giuseppe ha anch’egli il suo Vincenzo e Michele, Tonino, Edoardo, Alfredo, Roberto. Guido, mentre che la moglie di don Rocco ha messo al mondo Vincenzo, Sebastiano, Giuseppe, Michele, Edoardo, Pasquale e quella di Pasquale, Vincenzo e Severino.
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Ormai c’è tanta terra da poter soddisfare tanti figli e tanti figli da poter vincere e domare tanta terra.
Case coloniche e strade, irrigazioni e comunicazioni ed in seguito aratri e macchine perfezionati faranno scaturire tanto grano da allagare le contrade. Allora nel 1913 don Michele pensa anche che è preferibile sfarinare in casa propria il grano proprio, e che sarà un affare sfarinare anche quello degli altri. Ed allora? Nel 1915 un modernissimo molino a cilindri affermerà la gigantesca attività di questa razza giudiziosa.
La Banca D’lnnella e C. (1923), il commercio dei cereali, in cui primeggeranno sui mercati di Napoli e Bologna, le attività edilizie e di lavori pubblici, quelle assicurative, l’assorbimento dei prodotti chimici significheranno una sola, unitaria politica del Patriarcato: volere ad ogni costo e comunque fiancheggiare la munificenza di madre terra.
Il mio interlocutore avrebbe ancor molto da dire, ma io debbo truccarmi da fotografo e darmi… alla macchia. La mia intervista è stata meno terrificante del solito. Ho segnato i dati e non mi rimarrà che darmi a conoscere uno per uno questi campioni e questi capitani.
Ringrazio il mio cortese interlocutore, autorevole personaggio di Spinazzola, gli stringo cordialmente la mano e gli ripeto, perchè lo ricordi, il mio nome di nomade.
Egli mi ricambia. Io lo ascolto impallidendo:
– Macchè, m’ha detto, disponga sempre! D’lnnella!
Eppure su lui, questa volta, e per l’ultima volta, avrei scommesso…
Tratto da “Puglia d’Oro”
L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.
Edizioni Giuseppe Laterza srl
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