DI CAGNO ABBRESCIA FAMIGLIA
Dal cognome c’è da ritenere che la origine di questa famiglia non fosse barese ma invece della Provincia di Montrone o di Canneto o di Loseto, dove trovasi assai diffuso il nome Canio, (da cui potranno esser derivati in corretto De Canio, De Cagno, Di Cagno). Ma il trasferimento a Bari dei primi componenti di questo casato deve riportarsi a moltissimo tempo addietro perchè a memoria d’uomo questa famiglia è ritenuta di Bari.
Si ricorda pertanto Simeone Di Cagno, uomo dedito al commercio e magnifico iniziatore di attività mercantili.
Da lui nacquero Giovanni, che prese in moglie la signora Angela Abbrescia; Francesco che si sposò a donna Raffaella Sessa, figliuola dello avv. Michele Sessa di Trani, da cui ebbe otto figliuoli, con due maschi, di cui uno solo vivente, il prof. Simeone Nicola, che sposò donna Giuseppina Di Cagno fu Pasquale, che ebbe moltissimi figli, di cui otto attualmente viventi.
La fortuna dei tre fratelli, figliuoli di Simeone senior, è derivata da un attivo commercio dell’olio, che fu esercitato sempre in società ed a mezzo di un lavoro quanto mai accorto e serio. La divisione patrimoniale fu uguale per i tre componenti, che potettero, ai primi del nostro secolo, trovarsi a capo di una ingente ricchezza.
Al figliuolo Giovanni però, che come si è detto, aveva tratto in isposa una Abbrescia, era derivata una maggiore fortuna, per le ricchezze derivate dal casato della moglie. Infatti sulla signora Angela Abbrescia, si era riversata tutta la ricchezza del cespite, giacchè dei fratelli di lei due erano divenuti canonici di San Nicola, mentre il primo, Francesco Saverio, di cui ci occuperemo appresso, morì giovanissimo; e l’ultimo, Michele, non ebbe figliuoli.
***
Di questa famiglia, illustrata dal poeta Francesco Saverio, possiamo dire che aveva avuto il culto del lavoro, essendo sempre ed appassionatamente dedicati, i suoi componenti al commercio della cera.
Sia la famiglia Di Cagno e sia quella Abbrescia, fusesi tutte e due in una sola, da quando Giovanni sposò Angela Abbrescia, professarono sentimenti religiosi e furono dediti ad opere di bene.
Infatti, come abbiamo trovato dei sacerdoti, troveremo anche due pie suore, figliuole di Francesco Di Cagno mentre due figliuole di Nicola ebbero a votarsi anche esse alla vita monacale, una nel convento delle Giuseppine e l’altra nella casa di Santa Scolastica, in Bari.
Dalle nozze di Giovanni Di Cagno con Angela Abbrescia ebbe vita un solo figliuolo, l’avv. comm. Simeone, che si sposò con la nobile signora donna Amalia Marcantonio, di notissima famiglia abruzzese. Da queste nozze i coniugi ebbero due figliuoli, Giovanni, giovane esuberante d’ingegno che attualmente milita con fede e con ardore nell’agone sportivo e nelle fila del Partito, in seno al quale ricopre varie cariche di fiducia, e Lina, che non fu conservata all’affetto ed all’amore della sua famiglia, in quanto a soli 18 anni, quando le sorridevano le più dolci speranze di lieto avvenire spegnevasi cristianamente in Roma.
I genitori trassero dal dolore della grave perdita la possibilità di un’opera di grande efficacia benefica ed infatti, come si legge nella stampa quotidiana del 1933 ai 18 di febbraio, festa di San Simeone, vescovo e martire, il padre Ginseppe Manzo, provinciale della Compagnia di Gesù, presenti il comm. Simeone Di Cagno Abbrescia e sua moglie la signora donna Amalia Di Cagno Abbrescia-Marcantonio, benedice la prima pietra, che sarà fondamento del corpo di fabbrica, in ampliamento del palazzo Di Cagno Abbrescia, che i proprietari, con illuminata generosità, han donato alla Santa Sede, in memoria della loro diletta figliuola Angela. Questo palazzo, trasformato sin dal 1926, in Istituto di educazione per la gioventù maschile barese veniva a costituire così un faro luminoso di scienza e di cultura, espressione della carità del nostro popolo.
***
Completeremo il quadro di questa famiglia, veramente illustre per la dedizione ai lavoro e per le opere di bene, occupandoci di quel Francesco Saverio Abbrescia, che, grande poeta dialettale, onorò lo spirito di nostra gente, in quanto, come ebbe a scrivere Antonio Nitti, nato dopo la rivoluzione francese che aveva diffuse le prime idee di libertà, sentì sul viso di tenero fanciullo il soffio solenne e triste della rovina del 1821; ma proprio queste nuove idee dovevano far di lui il patriota del 1848 ed il processato del 1849, perchè, se la fortuna morale di Bari progrediva notevolmente, quella politica rientrava ancora una volta nello equivoco, di cui si era compiaciuto il Borbone.
Il poeta nacque il 12 Luglio da Francesco Abbrescia ed Angela Scanni. Studiò lettere e filosofia nel R. Liceo delle Puglie, indossò a 17 anni l’abito talare; a 30 era elevato alla dignità di canonico di San Nicola, a 32 insegna lettere nel Liceo. Ebbe un amico illustre nel marchese di Montrone, Giordano Bianchi, che presidiava le sorti della provincia. Ebbe anche amici fedeli in Angelo Mai e mons. Giliberti. Fu pastore arcade, ottimo oratore e scrittore facile e brillante, membro dell’ Accademia Pontaniana e dell’Accademia romana di religione. Tanto consenso e tali onori non incisero la sua modestia.
Il Nitti dice che il 1848 lo sorprese patriota ardente; la reazione lo volle tra i processati politici della Dieta di Bari. Era di salute cagionevole, resa ancora più malferma dall’assiduo lavoro. Egli lo sapeva e nel 1843 si ritirò a Cassano Murge, ove nel cenobio di Santa Maria degli Angeli cercò pace allo spirito e ristoro al corpo affranto.
Nell’estate del 1847, gravemente malato, si era ridotto nella vicina Mola ove cercò trovar conforto nell’aria salubre della contrada di San Materno. Vane speranze! Giacchè la sua fibra si piegava lentamente.
Ai 5 di Novembre sentendo prossima la fine, chiese i conforti nella religione ed attese serenissimo la morte che lo colse a 39 anni, la mattina del 9 Novembre.
***
L’attività letteraria dell’Abbrescia si esplicò specialmente dal 1842 al 1852. Pubblicò una Guida storico-descrittiva di Bari e dintorni, un saggio di nomenclatura barese italiana ed un bel poemetto, dedicato a Bari, di cui scrisse solo un canto.
Le sue poesie in lingua italiana risentono molto dei difetti del tempo e l’autore non riuscì ad elevarsi di molto sugli altri poeti del Mezzogiorno. Ma l’opera sua maggiore, furono le rime in dialetto barese, per cui degnamente passò alla notorietà.
Egli fu il primo, cui venisse in pensiero di coltivare con canzoni sacre e profane il dialetto della sua patria; in cui, primo, egli ebbe a scoprire verginali bellezze. Lo avevano infatti preceduto cantori che non avevano mai superato la banalità dei giullari, cantori che dal popolo erano chiamati Gud Gud e Cicheriedde.
Le sue poesie dialettali coltivarono quattro generi: il sacro, l’amoroso, il satirico ed il patriottico.
E nel genere satirico l’Abbrescia si aderse particolarmente: egli affronta e colpisce quelli che decampano dal retto vivere sociale e quando fa la satira politica allora diventa ilare, involge i suoi versi come in un’onda di festevolezza, ma proprio in quella gioia fa capolino e traspare tutta la sua anima ardente. Rimandiamo il lettore ad una bella pubblicazione, edita il 12 Luglio 1913 a cura del Comune di Bari, per onorare il primo centenario della sua nascita.
Tratto da “Puglia d’Oro”
L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.
Edizioni Giuseppe Laterza srl
Bari, piazza Umberto I n.29 – Tel. 345 623 6207 – Email info@edizionigiuseppelaterza.it
Consulta la pagina dedicata sull’edizione storica: