DE RUGGIERO FAMILGIA
La famiglia Ruggiero o De Ruggiero, ritenuta da molti scrittori di origine normanna per l’esistenza di alcune sicure memorie familiari legate alla dominazione di tale stirpe nelle provincie meridionali d’Italia, è da altri autori creduta di origine locale e propriamente di Salerno. Trovasi infatti menzionata tale famiglia Ruggiero nell’anno 954 in occasione della traslazione del corpo dell’apostolo San Matteo, dalla distrutta città di Pesto e Salerno.
Quel che è certo è che non soltanto la famiglia De Ruggiero fu ascritta al patriziato della città di Salerno e propriamente ai seggi di Porta Retese e di Campo, ma costituì anche un seggio proprio in conseguenza del numero eccezionale dei suoi componenti.
Fu appunto per questo che, aboliti i sedili dei nobili, la famiglia De Ruggiero venne ascritta al registro delle piazze chiuse.
Trasferitasi nell’Italia peninsulare ed insulare tale famiglia godette nobiltà in Sicilia, a Bologna, a Capua, a Cosenza, Bitonto, Foggia, Scala, Sessa e Barletta passando per due volte in Francia, prima del 1300 e poi sotto la dominazione di Caterina dei Medici.
In possesso di numerosi feudi sin dal 1163, godette della regia familiarità sotto i re Normanni ed Angioini che la investirono di importanti ed altissime cariche, quali quelle di maestri razionali del regno, di ammiragli, di giustizieri e di vicerè in Sicilia, Calabria, Basilicata e Puglia.
Ed uffici di non minore importanza i De Ruggiero ebbero durante la successiva dominazione degli Aragonesi.
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I De Ruggiero furono iscritti per la prima volta nell’anno 1286 nell’Ordine Gerosolimitano, denominato poi di Malta, in persona di Matteo che fu balì di Santo Stefano e generale contro i mori.
Si trasferì in Puglia con Giosuè De Ruggiero il quale possedette diversi feudi tra i quali quelli di Bisceglie donatogli nel 1507 e quello di Bitetto, acquistato con atto per notar Nicola Maria De Romanella nel 1513. L’arma dei De Ruggiero è di azzurro a sei crocette di oro, ordinata tre due e uno, col capo di rosso carico di un lambello a tre pendenti di oro, con cimiero sormontato da una corona ducale e col motto: « de cruce virtus » Il ramo dei De Ruggiero di Loseto s’inizia con Cesare De Ruggiero, napoletano, che compra in data 30 agosto il feudo di Loseto dal precedente signore Domenico Sagarriga Visconti.
Iniziatasi così, per Loseto, la signoria dei De Ruggiero, il villaggio si destò a novella vita. Fu costruita dal nobile signore del paese la bella ed armonica chiesa di stile barocco, oggi consacrata all’arcipretura e dedicata al patrono San Giorgio; fu ampliato l’abitato, furono dissodate le terre incolte dell’agro losetano.
Cesare De Ruggiero morì in Bari il 4 Marzo 1774, compianto dai suoi vassalli che ne vollero traslata la salma nella chiesa che egli stesso aveva costruito.
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A lui successe Francesco De Ruggiero seniore che continuò l’opera paterna intensificando il dissodamento e la trasformazione agricola dei terreni feudali e burgenzatici, costruendo nuove case nel villaggio, un frantoio per le olive e la porta che mena a Ceglie del Campo. Durante la signoria di Francesco De Ruggiero fu abolita la feudalità e così, con questo signore singolare per bontà e per spirito di iniziative, terminò la serie dei dinasti di Loseto.
Ma si perpetuò, a beneficio del paese, l’opera dei successori di tanto signore, ed è per questo che non si può parlare di un De Ruggiero senza vederne legata l’alta personalità ad azioni di patriottismo e di umana solidarietà.
Incontriamo pertanto, con Francesco De Ruggiero iuniore, un autentico martire del Risorgimento Italiano e col fratello di lui, Vincenzo, un raro esempio di attaccamento alla causa dell’unità d’Italia e di fraterno amore. Nacque Francesco De Ruggiero il 15 Maggio 1815 dal barone Nicola e da Anna Maria Noya, figlia del barone di Bitetto. Compiuti gli studi secondari nel suo paese natale, Loseto, e nella città di Bari, egli fu studente all’Università di Napoli donde fu espulso per le sue tendenze liberali, ed ebbe così preclusa la possibilità di continuare i suoi studi.
In Napoli egli ebbe dimestichezza coi più ragguardevoli capi del movimento liberale, e spesso riuniva nella casa della nonna materna ove egli abitava e dove la baronessa di Bitetto donna Gaetana Noya, nata Palmieri dei marchesi di Monferrato, dava sicuro affidamento di incolumità personale per la notoria ed ostentata sua devozione alla regnante famiglia dei Borboni.
Prese pertanto Francesco De Ruggiero attivissima parte ai moti del 1848, e perciò fu dalla Gran Corte di Trani ed insieme al Rogadeo al Bozzi al Turi e ad altre cospicue personalità della provincia di Bari, condannato a 15 anni di galera.
Deportato all’ergastolo di Nisida venne colà unito con catena ad un volgare malfattore reo di omicidio e condannato a vita. Sofferente di grave male cardiaco egli ebbe dallo stato di cattura grave nocumento alla sua salute; e solo potè, per intercessione dei suoi parenti, ben visti dalla corte, fra i quali il generale Vincenzo Palmieri, essere trasferito in un luogo più abitabile e cioè nell’isola di Ventotene.
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Nel 1855, per intercessione della Regina Maria Teresa, abilmente premurata dalla marchesa Del Vasto, prima dama del Palazzo e moglie del marchese di Monferrato Giuseppe Palmieri, allora colonnello della Regia Cavalleria e zio cugino del De Ruggiero, questi ottenne la grazia sovrana e potè ritornare presso i suoi. Visse così in silenzioso raccoglimento per altri cinque anni e quando potette salutare la Patria, unita sotto lo scettro di Casa Savoia, egli fu solo pago di avere contribuito col suo personale sacrificio alla sua redenzione da ogni tirannia.
Egli morì improvvisamente, e poco più che cinquantenne, il 24 Novembre 1867, dopo avere rifiutato le onorificienze che gli venivano offrendo i rappresentanti del governo dell’Italia unita e libera.
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Germano e gemello di Francesco fu Vincenzo de Ruggiero il quale prese viva parte anch’egli ai moti del 1848 sfuggendo, per la straordinaria somiglianza col fratello, che si addossò tutte le accuse, all’ira della polizia borbonica.
Fu appunto in virtù di tale somiglianza che quando Francesco era in prigione a Trani pel processo politico di cui abbiamo parlato, Vincenzo dava spesso il cambio al fratello germano, permettendogli così di fruire di un poco di libertà e di attendere direttamente alla preparazione della sua difesa davanti alla gran Corte.
Egli, dopo il 1860, fu ufficiale della Milizia Nazionale e si distinse in Lucania per la repressione del brigantaggio.
Vincenzo non ebbe figli; Francesco invece ebbe un figliuolo a nome Michele che continuò le di lui tradizioni di strenuo amor di patria e di fedele attaccamento alla famiglia. Egli fu sindaco di Bitetto ove si era nel frattempo stabilito, abitando quel gioiello di edilizia settecentesca che è il palazzo ereditato dalla nonna Sante Noya, e fu anche consigliere e deputato provinciale mantenendo fede ad una severa linea di saggezza amministrativa e di dirittura morale.
Da questo nobile uomo nacquero Nicola che fu studioso del Giure e poi segretario generale per molti decenni dell’Opera pia dei Pellegrini di Napoli, ove si estinse nel 193O, compianto da quanti ebbero la fortuna di conoscerlo e consigliere provinciale pel mandamento di Canneto; Andrea, morto anch’egli recentemente, e Vincenzo che, laureatosi in Legge alla Università di Napoli e diventato molto caro, per le sue virtù spirituali e culturali, allo zio materno Nicola Pesce, si stabilì con lui giovanissimo a Casamassima e da 25 anni occupa onorevolmente la carica di vice pretore onorario presso quella R. Pretura.
Ma di lui diremo più ampiamente in appresso.
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Desideriamo invece accennare alla figura eccezionale di Nicola Pesce, di questo gentiluomo di campagna che fu un formidabile amministratore dei suoi beni e che, rimasto vedovo di una figlia di don Franceco De Ruggiero, morì novantenne nel 1929 nominando suo erede universale proprio il nipote Vincenzo ch’egli aveva allevato quale figlio.
Delle figlie del nobile don Michele, Chiara sposò un Brancaccio di Carpino domiciliato a Napoli, Anna il signor Rocco Scalera da Santeramo e Gaetana il nobile uomo Mariano Azzone di Casamassima.
Dall’avv. barone Nicola e da Maria Caracciolo dei duchi di Vietri a Casamassima nacque nel 1889 Michele de Ruggiero che doveva innanzi tempo perire combattendo alla quota 188 presso Oslavia di fronte all’agognata Gorizia, offrendo alla grandezza della Patria la sua fiorente giovinezza.
D’ingegno fervido e pronto, di animo nobile e generoso, degno erede del patriottismo degli avi, egli si affermò nella generale considerazione laureandosi in matematiche ed in giurisprudenza e dettando poesie ricolme di alta spiritualità e nitide nella forma e nel metro. Sociologo colto ed agguerrito, cristiano di purissima fede egli si diede all’educazione degli operai che amò e strinse in associazioni che ancora oggi ne piangono la dipartita. Accettò la guerra con animo sereno e fu ufficiale ardimentoso e trascinante.
Egli cadde da eroe alla testa della sua compagnia proteso nell’atto dell’assalto di una trincea nemica ed alla memoria di lui i genitori inconsolabili dedicarono un volume in cui, oltre all’epistolario ed alle liriche delicate per ispirazione e sonanti nel ritmo, furono raccolti i discorsi pronunziati dai suoi commemoratori.
In questo libro v’è una impressione di Padre Maresca che pone questo giovane fra quelli che meglio rappresentarono il fervido abbandono dei cattolici alla causa della guerra e meglio sentirono la mistica essenza della umana solidarietà.
Così riferisce l’illustre Sacerdote l’ultima parte del colloquio che egli ebbe con Michele De Ruggiero alla vigilia della sua partenza per il fronte. Riproduciamo integralmente e senza alcun commento che offuscherebbe la nobiltà e la maestà di questo nostro glorioso Caduto:
« Vedete, padre, mia madre è venuto a pregarmi, che mi dessi per malato, a insistere perchè non partissi; ma non sono stato mai così bene in salute e non potrei mai violentare la mia coscienza. Non so esprimere bene quello che sento in me; so questo soltanto; che il Signore ha cura e pensiero di me, sua creatura, e confido in Lui. Non andare alla guerra? Temere di morirvi? E perchè? E’ il Signore, che penserà a questo; Egli dispone di me e delle cose mie e ne disporrà pel mio meglio. Fiducioso in lui io mi offro disposto a tutto. Converrete che questo cristianamente è il mio dovere, nè la coscienza mi consentirebbe mai di sottrarmi ad esso, anche per non permettere, che un altro vada a pigliare il mio posto, massime se più pericoloso, o abbia a morirvi ».
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Don Vincenzo De Ruggiero, rimasto scapolo, si è dedicato alla cura dei suoi numerosi nipoti ed all’amministrazione del vasto patrimonio ereditato dallo zio, introducendo nelle terre i più moderni sistemi di mezzadria e larghe affittanze che consentono ai contadini di beneficiarsi ampiamente dei frutti della terra.
Egli continua la tradizione di signorilità che contraddistinse i suoi antenati vicini e lontani mantenendo fede alla purezza del costume, alla gentilezza dei modi, ai richiami della carità.
Sovvenzionatore immancabile di tutte le organizzazioni del Partito egli ha anche ceduto alle necessità d’ordine estetico e statico del palazzo magnatizio familiare che spalanca la chiostra delle sue infinite bellezze sui margini di Bitetto, e, non appena si è trovato in condizioni di farlo, ha proceduto ai lavori di restauro che hanno riportato alla pristina fattura settecentesca, non pochi elementi architettonici che erano stati sconvolti e bruttati da posteriori sovrastrutture.
Tratto da “Puglia d’Oro”
L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.
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