COLONNA LUIGI

Don Felice Colonna, maestro barese di scalpello, padre di ben due dozzine di rampolli, potette avere nel figlio, don Luigi, il suo capolavoro. Tanto vero che la di lui ardente volontà di creazione ebbe requie solo dopo la nascita di questo giovinetto fulvo e che in men che si dica andò pur egli attaccandosi ai ferri del mestiere paterno.

Cesta dei ferri in capo, come a dire « militarescamente »: « zaino in spalla », ed ecco padre e figlio al lavoro. Questa coppia evangelica non conobbe quasi mai la mollezza lussuosa di un traino o di un mulo, sicchè le distanze più leggendarie, sotto il sole del Leone o sotto la pioggia di agromele furono superate.

E sì che don Felice era stato un podista campione!

Quando egli dovette accontentare il suo ardente cuore e pensò ad una compagna della sua vita, e non seppe dimenticare due occhi di fuoco che lo avevano colpito (quelli della sorella del costruttore edile don Luigi Schirone), imbastì il suo piano di battaglia e di vittoria facendo giocare anche le sue possibilità podistiche.

Si dice che la coppia si fosse verso il far della sera ecclissata dall’allora squallido capoluogo ed avviata a trotto verso Palo del Colle.

C’è da dire però che anche gli Schirone non erano da meno dei due fuggiaschi, perchè opposero al volo dei colombi quello loro di falchi e li raggiunsero nel nido palese. E qui, in men che si dica, iniziarono una delle più feroci battaglie che le storie coniugali del mondo ricordino. Giacchè don Felice era scalpellatore in pietre, ebbe l’onore di una sassaiola nutrita e tenace e che lo costrinse ad una fuga disperata e precipitosa.

Si sappia, tra parentesi, che in seguito don Felice oppose alle trombe degli Schirone le sue campane e che in un contrattacco furioso impalmò la compagna con ventiquattro figliuoli.

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Abbiamo, come in una descrizione leggendaria, detto poche notizie sull’ambiente e sui personaggi che tanto sangue e tanta influenza dovettero dare al giovinetto Luigi, le cui date di nascita e di matrimonio sono relativamente da attribuirsi al 1863 ed al 1883. Nel matrimonio di lui non riscontreremo sassaiuole e galoppate strategiche. Tutt’altro!

Egli sceglie in Elia Grazia di Bitonto la sua compagna, e non si decide a sposarla, se non quando il lavoro non gli avrà fornito i primi danari. Provvederà a ciò il successo di una prima fatica edile, ovverosia il palazzo dei facchini doganali di Bari, via G. Murat 65.

Il temperamento di don Luigi Colonna, ora che il dinamismo cerebrale e di azione di questi albori novecenteschi ci hanno avviati a tutta una revisione nella valutazione degli uomini e delle loro opere, rimane difesa da una sua gloria speciale che sembra tratta un po’ ai signori cadetti di Guascogna ed un poco a quel senso di cavalleria che va dalle Crociate ai guerrieri di Carlo Magno. A vederlo oggi, don Luigi pare che indossi sotto la giacca una imbattuta corazza, ed ogni suo gesto ha un colore saporito di cavalleria romantica.

Ci pare bene riportare un completo giudizio che un giornale meridionale ebbe a dare di lui: « uno dei più poderosi, geniali ed infaticabili lavoratori della nostra terra. Egli aveva nel cuore un mondo luminoso di idealità e nel cervello il desiderio di clamorose conquiste. Iniziò con umiltà francescana la sua carriera facendo lo scalpellino, ma come gli antichi maestri di Puglia, che poi diventarono i grandi costruttori degli insigni monumenti pugliesi, sentì di dover pur egli dire una sua vana parola e di affermarsi con opere luminose e degne.

La febbre delle costruzioni edili aveva invaso la popolazione barese, che si preparava a fare di Bari una grande metropoli; questa stessa febbre invase l’animo di Luigi Colonna e gli tracciò la prima via del suo destino. Nacque così in lui il costruttore e non il semplice edificatore di case, senza arte e senza stile. Si diè a costruire palazzi, ma palazzi che portano tutti indistintamente l’impronta di una spiccata e potente personalità».

A noi, nel concludere questa monografia, pare che la vita di questo glorioso figlio di Terra di Bari possa avere onorevole ricordo con l’accenno che faremo sia di due episodi della sua vita di costruttore geniale e sia dalla elencazione delle opere dovute alla sua intelligenza.

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Sono stati dal Luigi Colonna costruiti: il palazzo in via Gioacchino Murat n.118, costruito circa 43 anni or sono alla carovana dei facchini doganali; palazzo in via Manzoni n. 29, tutto eseguito in pietra, di 5 piani d’altezza; palazzo angolo via Putignani-Manzoni, con decorazioni scolpite dal Colonna; palazzo in via Manzoni 357; palazzo in via Crisanzio n. 131 bis, 133 e 135 che sono tra i più alti della città ed han dato la mirabile prova di resistere all’impeto delle tre alluvioni che hanno devastato quel rione; palazzi in via Garruba 110,112 e 114; palazzo Giordano, in via Crisanzio, con scala nobile e decorazioni ricchissime e cariatidi scolpite dalle mani del Colonna; Palazzo in via Giuseppe Suppa n. 26; palazzi moderni in via Imbriani nn. 73, 76, n. 81 e n. 113; palazzo in via Abbrescia n, 78; palazzo Pollice, in via Cardassi; palazzo del comm. Atti al corso Cavour; palazzo dell’on. Lembo in via Andrea da Bari, attuale sede del Banco di Roma; palazzo Colonna in via De Giona; palazzo in via Giuseppe Suppa n. 26; palazzo Chartroux, decorato dal Colonna in età giovanissima; palazzo Di Cagno, di fronte a S. Antonio anche con decorazioni eseguite dal Colonna nei suoi primi anni.

Il cav. Colonna progettò e costruì gran numero di ville, tra le quali vanno ricordate:

Villa Suppa, via Carbonara; villa Martino Cassano, via Vaccarella; villa Scarfoglio, via vecchia di Valenzano; villa De Filippis, via vecchia di Valenzano.

Oltre l’edifizio delle Scuole Complementari in via Imbriani costruito dal Colonna ed approvato da tutte le Autorità ed acquistato dal Comune, moltissime cappelle gentilizie e monumenti progettati e costruiti dal Colonna adornano il nostro Cimitero.

Oltre al grande stabilimento industriale, ancora di sua proprietà sulla via Carbonara ed a moltissimi ed importanti lavori eseguiti in provincia, il Colonna prese l’iniziativa della bonifica della zona del Lungomare e dopo tenace lavoro ed infiniti sforzi, ottenuta la concessione dalla R. Capitaneria e la ratifica del R. Governo, ha completato il grandioso palazzo in via Cognetti, ch’è tra i più importanti che si siano costruiti sino ad oggi.

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L’elenco, nella sua aridità, ha lo stile di uno di quei bilanci consuntivi che di per sè costituiscono una gloria ed un onore.

Ma non dimentichi il nostro lettore che la ampia opera edilizia della nuova Bari, Palazzo Colonna, è dovuta all’ex umile scalpellino, che gettò il suo progetto ed il suo palazzo sul mare. Diciannove vani di prospetto e sette piani di altezza; 1020 camere. Palazzo più grande di oltre il doppio del palazzo di giustizia a Roma.

Altra volta, agli albori, il nostro, aveva costruito una villetta di poche camere all’avv. Suppa. Era egli agli inizii. Zero autorità, zero storia; grande, vivace genialità.

Aveva costruito su suo progetto e consegnato la villa all’illustre proprietario in un pomeriggio di un sabato estivo.

La villa si sarebbe inaugurata con un ballo. Ed eccoci al collaudo. E’ veramente una bellezza! Solo che il consiglio di un ingegnere all’avv. Suppa fa per un attimo crollare la gioia. Don Luigi ha costruito un salone tale che retto, come è retto, da due colonne, crollerà al primo giro di valzer.

– E quante coppie, chiede sornione il costruttore, balleranno?

– 15. 15 coppie, gemono avviliti i proprietari.

– E lei, lei ingegnere insiste nel ritenere che la volta crollerà?

– Non è da discutersi.

Don Luigi ride e sorride, sorride e ride.

Dalla strada polverosa, la vecchia via di Carbonara, giungono gli « unò, duè, unò, duè » di una compagnia di soldati.

Don Luigi pare impazzito. Col largo cappello, con le braccia, con il fazzoletto si dà a chiamarli, come volesse soccorso. Un capitano che è al comando ordina il riposo, va in villa e tratta con don Luigi.

Dopo un pò circa quattrocento uomini hanno occupato… militarmente la sala.

E mentre il signor ingegnere si copre gli occhi con le mani, atterrito, don Luigi dà con una vecchia chitarra il segno delle danze.

I soldati si abbracciano, e pestando con gli scarponi, intessono balli rusticani. Non 15, ma 30, 40, 50, 100, 200 coppie sono serrate per dar trionfo al collaudo.

Dopo un’ora, e dopo che l’avv. Suppa ha pagato con un barile di vecchio moscato il suo atto di sfiducia, don Luigi asciuga, in silenzio, una lacrima.

Tratto da “Puglia d’Oro”


L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.

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