CINEFRA FRANCESCO
Due elementari primitivi bisogni dell’umanità: un tozzo di pane e la difesa dal freddo.
Le epoche più lontane, in nome di queste difese degli uomini, che vogliono vivere, procreare, difendersi, allestiscono e mettono su una agricoltura, la cui civiltà non si discosterà mai più dal mondo.
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Già nella preistoria l’uomo si difendeva dal freddo vestendosi di pelli.
Traeva egli questa scorza dalle renne, dai bisonti e dalle capre. E da quando questo bisogno si radica, col succedersi delle stagioni, ecco che si affaccia come un vero problema la necessità di rendere morbide, scelte, durevoli ed aderenti al corpo degli uomini primitivi le pelli.
Un attento studio dell’economia e della civiltà dei primi popoli ci fa subito vedere come l’uomo si dedicherà subito alla industria del pellame, con differenziazioni di concie e di conservazioni, secondo che esso sia usato in climi freddi o caldi.
Essenziale elemento della economia agricola sicchè, specialmente per quei popoli e per quelle regioni in cui la terra, povera di minerali e di sottosuolo, è una naturale sorgente di pastura e di agricoltura.
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L’Italia meridionale e la Puglia, ricca di tratturi e di pascoli, portano impresso il segno di questa disponibilità di lavoro: dalla vite al mandorlo e dal grano all’olivo. Branchi di pascoli, poi, campi di allevamento bovino fanno comprendere anche all’osservatore speciale che la nostra è industria del campo e di quanto terra madre generosamente ci dà.
Non è di ieri la visione di d’Annunzio, preso da dolente nostalgia per la sua terra e per i suoi pastori?
« Settembre, andiamo
è tempo di migrare
ora in terra d’Abruzzo i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare ».
E come un poema italico, la « Figlia di Iorio » personificava in un pastore, in Aligi, il suo sonnolento eroe.
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Ecco perchè quando i compilatori di questa opera, che vuol essere rassegna di primogenitura, hanno cercato di riportarsi ai più rappresentativi incettatori ed industriali delle pelli, sono rimasti sorpresi nel constatare come minima sia stata la partecipazione dei nostri uomini a questo compito. Pochissimi nomi e pochissimi uomini e quasi mai questi, segnati dalla virtù dei pionieri e degli iniziatori. A meno di soffermarsi agli stadi artigiani, non c’è che da ricordare Giuseppe Giordano, di cui si dice in altro capitolo e poi i Cinefra.
Di questi ultimi ricordiamo il fondatore Don Vito, che ebbe a dividersi tra la nativa Capurso e San Giorgio Ionico, in cui attualmente, vive.
Anche Don Vito Cinefra azzanna la fortuna a denti stretti.
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Da una borgata povera di comunicazioni, egli stesso, modesto di mezzi, comincia ad incettare le pelli, e diventerà il patrono ed il patriarca dei pastori delle contrade, e a poco a poco di essi educherà gli istinti di allevatore.
Le capre che invierà la sua Ditta da Capurso dovranno rivaleggiare con quelle africane e la sua ditta dovrà trovare il suo posto, rispettata e forte. Lo stadio di questa economia, eguale i tutti gli altri pionieri, di cui finora ci siamo occupati, avrà onore nella fine dell’ottocento. Il nostro metodico esame ci ha scaltriti nella conoscenza di questi padri del secolo scorso che fondavano aziende e che allevavano contemporaneamente dei figliuoli, destinati alla modernizzazione ed al potenziamento di esse. Don Vito Cinefra avvierà ed allenerà il figliolo Francesco, che dapprima seguendolo, avrà poi il merito di diventare il vero artefice della iniziata fortuna. Ed i mercati modesti del barese e del napoletano, cari all’organizzazione commerciale di Don Vito, saranno in breve completati (ma quanti sacrifici, ma quante ansiose peregrinazioni) da quelli di Tunisi, della Tracia, della Germania, delle Americhe, della Francia, della Grecia, dell’ Algeria e dell’Inghilterra.
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Anche l’incetta, che una volta riguardava le sole campagne vicine conquista un po’ tutto il Mezzogiorno d’Italia. Altro clima, altro secolo. Forse perciò, incredulo e trasudato il vecchio e glorioso fondatore, abbandona Capurso e si ritira, come Cincinnato, a San Giorgio Ionico. « Che il buon Dio assista il figlio Francesco » perchè quanto a testa, cuore e lombi, egli sa di averglieli forniti buoni.
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Capurso, frazione di Bari, ma che ha il segno della sua autonomia, solo che si osservi la austerità della Casa comunale, allogata in un chiostro del 700, ha la gloria e l’amore di questo nome.
Come in un film di vecchia maniera, l’osservatore troverà (trent’anni dopo!…) il comm. Francesco Cinefra, Podestà taciturno ed attivo.
Egli fu Sindaco durante la guerra italo-austriaca, ed è Podestà anche ora che un’altra guerra ha avvampato l’aria ed i cuori degli italiani.
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I depositi della Ditta ricordano le leggendarie grotte Vaticane.
Il comm. Cinefra ha allevato al lavoro sei figlioli, di cui quattro già dediti alle cure familiari, mentre che Vincenzo e Vito (e da questi ultimi dipenderà l’immancabile trasformazione dell’economia aziendale, che si avvia giorno per giorno verso maggiori mercati con tono ultramoderno) seguono il magnifico genitore.
Vito, anzi, ha già i galloni di generale, reggendo egli uno stabilimento in Napoli, onde il mercato di assorbimento delle pelli sia sfruttato al massimo.
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Possiamo dire che il nome di Cinefra, per intelligenza mercantile, per lavoro e per probità, sia un nome glorioso, che da un sessantennio rileva costantemente virtù di padre e buona ed adempiuta promessa di figliuoli.
Tratto da “Puglia d’Oro”
L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.
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