CECI FAMIGLIA
Da Taranto, sulla fine del 1600, un ramo dei Ceci si trasferì definitivamente in Andria, dove da tempo aveva intrecciati commerci e lavori.
E già nel 1732 la sua posizione era solida, ed fu quell’anno Francesco Ceci, capo famiglia, possedeva vaste zone di fertilissimo terreno appena fuori la cinta delle antiche mura cittadine; nel 1792 la S. Udienza di Trani riferiva alla Camera di S. Chiara di Napoli (una magistratura che ora corrisponderebbe al Consiglio di Stato e alla Corte di Cassazione) « tra le persone più qualificate e probe di questa città di Andria ho saputo essere il Magnifico don Nicola Ceci ».
E nel 1786 Re Ferdinando IV., con diploma regale concedeva alla famiglia Ceci il permesso di erigere una cappella gentilizia, concessione riserbata esclusivamente alle famiglie nobili.
Nelle torbide giornate del marzo 1799 la famiglia Ceci fu tra le più depredate ed ebbe ucciso il figlio primogenito, Francesco, e ferito l’arciprete Giuseppe, che, per l’assenza del Vescovo, reggeva in quel tempo la Diocesi.
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Un suo figlio, Consalvo, fu ufficiale nella eroica cavalleria napoleonica e di lui si ha notizia durante la fortunosa campagna di Russia; un altro Consalvo, morto nel 1848, per le sue doti, fu a lungo capo della municipalità cittadina, e con il suo senno ed il suo lavoro efficacemente contribuì alle fortune dei suoi. Nella seconda metà dell’ ottocento la figura più eminente della famiglia non solo, ma di Andria, fu Giuseppe Ceci. Giovane di aperto intelletto e di vasti studi; partecipò attivamente in Napoli al movimento culturale e politico che preparò gli eventi del 1848 e sulla «questione siciliana» pubblicò in quell’anno un coraggioso opuscolo in cui, con lucidità di precursore, chiaramente escludendo ogni forma separatista e confederativa, poneva la necessità dell’unificazione nazionale.
Candidato nel 1848 con le personalità, più eminenti per intelletto e liberalismo al Parlamento Napoletano, nella sua Provincia preparò con l’azione degli eventi del 1860, Deputato per due legislature al Parlamento Nazionale nel 1876 fu col Pisanelli l’unico deputato di Destra eletto dalle Puglie; intimo di Spaventa; lasciò orma della sua solida cultura in varie monografie giuridiche; morì quasi ottantenne, tra la campagna ed i libri, nella vasta villa che con artistica passione si era costruita e dove da anni viveva lontano da ogni mondano rumore.
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Dell’ultima generazione Riccardo Ceci fu Consalvo, seguendo l’esempio dello zio, a capo dei partiti politici dell’ordine sostenne lotte memorabili contro le irrompenti forze del socialismo e per due volte fu Deputato al Parlamento Nazionale. In politica l’onestà fu la sua aureola, la patria la sua fede; dell’armonia e della prosperità famigliari fu sagace custode.
L’ing. Riccardo Ceci fu Francesco nel suo gran cuore strinse tutte le lacrime e le gioie cittadine; architetto di classica e nobile eleganza, gratuitamente progettò e diresse in Andria il tempio del S. Salvatore, l’entrata Monumentale del Cimitero, il Monumento ai Caduti nella Grande Guerra; morì benedetto da tutti.
Giuseppe Ceci fu Francesco, il più anziano dei Ceci viventi, da giovane vive quasi sempre in Napoli, legato da intima comunanza spirituale con le più eminenti figure degli studi e del sapere, di cui Napoli in ogni epoca è ricca: vive fra le sue dotte amicizie, gli archivi, le biblioteche, studiando e scrivendo, mantenendo alto e onorato il nome della sua famiglia.
Nè bisogna dimenticare, fra i giovani di tal famiglia, l’avv. Consalvo Ceci, figlio dell’on. Riccardo e degno erede della luminosa tradizione patriottica familiare.
Laureatosi ancora giovane, egli fu ufficiale di cavalleria e, come tale, partecipò a parecchie azioni guerresche, distinguendosi per ardimento e per capacità, e meritando una medaglia d’argento al valore.
Rientrato, dopo la guerra, in Andria, trovò la sua città natale contristata da lotte intestine, avvelenata dalla predicazione fratricida dei rossi.
Capì subito che bisognava gittare novellamente nell’incendio la propria fede per la grandezza della Patria ed il proprio coraggio per salvare la vittoria e gittare il seme di una nuova Era per il popolo italiano in rissa.
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Seguì pertanto i precetti di Benito Mussolini che con l’azione e con la stampa manteneva alta la bandiera della sicura rinascita, e fu fascista combattivo ed ardente.
Capitanò le squadre d’azione di Andria e portò in tutti i paesi della Provincia, con l’esempio e con la parola, l’incitamento a contrastare il passo alla follia bolscevica.
Partecipò alle memorande azioni che liberarono Andria dalla deprecata e deprecabile egemonia socialista, basata sullo sfruttamento di una situazione sociale e demografica eccezionale, e fu comandante di gruppi durante l’occupazione di Foggia, preludio e corollario della Marcia su Roma.
Più tardi, ed alle prime elezioni in Regime Fascista, fu eletto deputato, ed in tale lusinghiero incarico egli portò i tesori del suo buon senso, della sua preparazione culturale, della sua serietà di vita.
Rientrato serenamente nei ranghi dei gregarii, egli ha saputo essere il camerata prezioso per la sua cordialità, per la sua modestia e pel suo spirito di solidarietà. Chiamato a reggere le sorti della Banca d’Andria, istituto bancario di prim’ordine, per quanto provinciale, egli vi ha saputo imprimere l’elasticità richiesta dai tempi nuovi, rendendolo organo sommamente ausiliatore dell’economia sociale.
Agricoltore appassionato e padre amoroso, egli divide ora le cure della famiglia con quelle del suo patrimonio terriero che ha trasformato sensibilmente, perpetuando così una tradizione familiare secolare.
Tratto da “Puglia d’Oro”
L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.
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