BARILE MICHELE E GIOVANNI
Il Dottor Michele Barile sorse da modesta famiglia di agricoltori ruvesi e con il suo fare adamantino si distinse ben presto come professionista e come « pater familias ».
Il popolo ruvese ancora venera il caro e buon « Don Michele » scomparso il 30 Novembre 1905 suo angelo consolatore, sempre pronto ad accorrere alle sue doloranti chiamate.
Ripetutamente occupò numerose cariche pubbliche, distinguendosi sempre per solerzia ed accorgimento amministrativo.
Come « pater familias» seppe aumentare sempre più il modesto patrimonio ereditato e con i suoi risparmi, come l’occasione si presentava, comprando ora dieci, ora quindici e ora venti e quaranta are acquistò il podere in contrada «Gravinelle» costruendovi una villetta, ove trascorse gli ultimi mesi di vita.
Dalla sua amata consorte ebbe tre figli: Giovanni che calcò le orme paterne in medicina, riuscendo altresì ad imporsi con tatto e fortuna come ostetrico espertissimo; Vincenzo farmacista in Anacapri, Maria, madre di due medici: Mario e Michele Lovino.
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I figli furono educati alla sua scuola di modestia solerte e videro il sacrificio diuturno del padre polarizzato verso il fine di raggiungere un maggiore benessere, col risparmio e con l’accorta valorizzazione della campagna.
Infatti il podere suburbano alla Gravinelle che ora tutti chiamano « Casino Barile » è un oliveto mandorleto fiorente e maestoso dove si ha agio di vedere svolta ogni opera con fede indomita di agricoltore intelligente.
Alla scuola di sì solerte uomo non doveva mancare una più degna continuazione, che si avverò col figlio Giovanni, realizzatore indomito di opere più coraggiose. Come il padre si dedicò alla Medicina e divenne subito il beniamino dell’umile sofferente.
L’esercizio professionale, che gli ha dato e gli dà tuttora gradite soddisfazioni, non assorbì e non esaurì quell’amor innato per la campagna. Infatti Giovanni Barile ampliò dapprima l’estensione del podere Gravinelle e su di esso realizzò quanto per lungo tempo aveva vagheggiato: istituire opere adatte che conferissero alla terra un maggior ritmo produttivo.
Per lunghi anni infatti si dà affannosamente a ricercare l’acqua nel sottosuolo, ricorre alla opera di rinomati rabdomanti, fa qualche sondaggio, ma di volta in volta è costretto a ripiegare convinto che, con i mezzi attuali, dal sottosuolo sarà ben difficile ricavare l’acqua per l’arida terra pugliese. Tale esperienza però non lo fiacca, perchè il suo fine, come una passione indomabile inespignibile lo tiene, e medita oggi, medita domani, si accorge che il suo podere è alle porte del paese e che può, sia pure con opera ardua, essere congiunto alla rete della fognatura nera.
Sollecitato ed ottenuto l’illuminato consiglio prima e poi l’opera esperta del Comm. Raffaele Tramonte, ingegnere specialista nelle discipline idrauliche ed attualmente indicato dalla Banca Agricola Nazionale di Grecia per stabilire accordi per l’elaborazione di un programma di lavoro per opere di acquedotti di irrigazione in Grecia, studia ed attua nel cuore dell’arida Puglia, in una contrada rocciosa, con ardite spese, un vasto plano di irrigazione sul podere «Gravinelle» allacciato, mediante canale sito in un letto cavato nella dura roccia a circa sette metri di profondità, ad un collettore della rete idrica nera cittadina. Con tale allacciamento raccoglie le acque di rifiuto in una profonda e vasta cisterna sita sul lato di mezzogiorno del podere ed attigua ad una capace sezione di sollevamento a mezzo di una potente pompa idraulica, atta a sollevare il liquame a 10 metri di altezza e ad immetterlo in un ampio pozzo Imoff dove il liquame sedimenta e si epura biologicamente. Così depurata l’acqua viene immessa in una rete di canali distributori della lunghezza complessiva di circa due chilometri, intercalata nei diversi punti del podere, da cinque vasche di deposito.
Tale rete porta in tutta l’estensione, con l’acqua benefica, la fertilità della terra alla ennesima potenza. Mercè questo costoso e coraggioso impianto che, oltre a ingente somma costa a Giovanni Barile il continuo assillo della sua passione e la pazienza di lunghe pratiche burocratiche per il nulla osta del Consiglio Provinciale di Sanità, il Barile ha potuto realizzare il suo sogno di coltura altamente intensiva parallela ad allevamenti stabulati con esperta tecnica.
Infatti senza distruggere il fiorente oliveto mandorleto impianta un puto artificiale irriguo in una zona disalberata da lui acquistata di circa due ettari, dove l’erba medica, il sorgo, l’elianto, la barbabietola da foraggio e il granturco sono diligentemente e intelligentemente coltivati in sezioni intercalate. Da questo prato di estensione limitata, con accurata irrigazione, si sono avuti ben sette tagli di foraggio, che hanno dato un complessivo di tremila quintali di mangime verde, destinato al consumo del bestiame, stabulato in parte verde e in parte insilato secondo la più esperta tecnica.
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Con tale produzione di foraggio il Barile ha potuto tenere alla stalla dieci bovini da allevamento e sessanta pecore, cosa inrealizzabile quando l’estensione coltivata a foraggio di due ettari circa fossero stati a ritmo di produzione secondo la norma dei terreni di Puglia.
La rete irrigua nell’oliveto ha maggiormente messo in evidenza i miracoli che l’acqua può rendere per la produzione e la coltivazione erbacea consociata alle piante a tronco legnoso. Infatti tutta l’estensione di esso è stata prima. coltivata a cavolfiore da esportazione e a broccoletti di rape, nonchè a cicorie, legumi e ad altre ortaglie con produzione esuberante, oltre ogni previsione. A queste culture che chiameremo invernali succedono le coltivazioni estive col pomodoro, i fagioli, i fagiolini, le melanzane e tutto quanto altro si coltiva in estate. Gli orti estivi sono già in evidenza, opimi e ridenti, forieri di forte produzione. Facendo un sopraluogo in questi prati irrigui abbiamo visto il Dott. Barile apparire appena con la sua testa, sommerso com’era dalla esuberante vegetazione dell’elianto italico. Il suo volto sorridente e bonario par che vi dica: « Vedete quanta grazia di Dio l’uomo può produrre se vuole… » « e se può, aggiungiamo noi». Ma la sua risposta è pronta e concettosa: « Infatti, egli dice, proprio chi può deve dare il segno di marcia, per additare ciò che si deve fare per salire sempre più in alto nella produzione, tanto più che oggi ogni italiano sente di avere un altro Padre amoroso e prodigo di aiuti quando gli sforzi che si vogliono compiere possano apportare veramente benessere: il Duce Magnifico » ed aggiunge che oltre l’esempio ai Pugliesi egli spera di poter un giorno far pervenire al Duce una sua pratica relazione per mostrargli coi fatti che la terra di Puglia può con l’irrigazione dare alla Nazione produzioni iperboliche e un complesso di fattori non comuni per l’autarchia Nazionale, sia come allevamento di bestiame, sia come coltivazione di piante tessili.
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Questo è il suo fine ultimo che perseguirà sempre senza arrestarsi, anche quando gli tocca qualche ambita onorificenza. Infatti ultimamente è stato decorato della Stella al Merito Rurale di seconda classe, che egli ha altamente apprezzato ma che ha benanche ritenuto come lievito di maggiori imprese.
Tratto da “Puglia d’Oro”
L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.
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