AMMAZZALAROSA DON MICHELE
Don Michele Ammazzalorsa sembrò a noi nelle giornate che furono quelle delle sue ansie più ardenti, come un gentiluomo sopravvissuto alla degenerazione, in senso borghese, delle migliori tradizioni di signorilità italiana; come un nobile Signore del Cinquecento che volesse vivere, in pieno secolo ventesimo, alla maniera del Rinascimento, per la gioia del suo spirito, per la consolazione dei suoi ospiti.
Era il tempo del rifacimento del palazzo avito affacciato sulla conca breve del porticciuolo di Bisceglie, era la stagione in cui cento artieri vivevano ed operavano al servizio di una bellezza che, deturpata e sconvolta, riprendeva tutte le sue armonie antiche in virtù di un prodigio di amore e di volontà.
Il Palazzo Ammazzalorsa ritornava a sorridere di tra gli stipiti scorniciati delle sue finestre neoclassiche, di tra le balaustre delle sue terrazze ariose, di tra la grazia delle sue sale e delle sue scalee. Questo fervore di vita nuova si snodava sotto il comando del patrizio assetato di domestica pace e di estetici conforti.
Fra questi artieri eccelleva colui che gli fu compagno amorevole e capace nella scelta dello arredamento e che, ricevuto il crisma divino della facoltà creativa, scavava nel marmo pario immagini e figure degne del nuovo asilo. Vogliamo cioè parlare del famoso scultore Alceo Dossena, avido penetratore di ancestrali schemi stilistici, che, partito appena dall’ultima sua grande avventura artistica al servizio di antiquari senza scrupoli e di acquirenti oltreoceanici presuntuosi ed incompetenti, aveva trovato fraterna ospitalità e fervida esca al suo genio nel patrizio biscegliese che rinnovava sul mare Adriatico i fasti dei vecchi duchi normanni adoratori del protettore di Rouen, San Adoeno.
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E quando la nobile fatica fu compiuta ed egli ci invitò a prenderne atto noi avemmo intera la rivelazione del suo gusto supremo che l’aveva tutta investita e che ripeteva un’antica insopprimibile virtù familiare.
Ogni camera aveva preso un suo assetto armonioso, in ogni angolo una gemma artistica aveva trovato il suo giusto posto in una cornice di pacata sobrietà signorile: cassettoni e panche cinquecenteschi, armadi veneziani, sedie quattrocentesche ed alzate snelle e trapunte, tele e tavole di pittori egregi d’ogni epoca, ceramiche ed arazzi, bronzi ed avorii, una colluvie di preziosità meditatamente ordinata e sistemata conclamante quel gusto e quella virtù discesi per li rami. Pertanto molti e frequenti furono i consensi e le lodi di ammirazione che gli tributarono competenti, personalità politiche ed alti porporati in visita all’avito palazzo.
I documenti di questo vigoroso ceppo augusto ~ vetusto? Ve ne sono tanti tra i quali meritano di essere ricordati quelli indicati nella Enciclopedia Storico nobiliare italiana (Vol. I., pagina 76 e parte I. dell’appendice) dei quali stralceremo in seguito i principali. Ne « Il libro d’Argento» delle famiglie venete si ricorda che i Mazzalorso abitavano nei primi anni del secolo XIV a S. Eufemia (Giudecca) e Folco ne era il capo. Tra i documenti di costui si ricorda di un Donato Mazzalorsa da Venezia che nel 1372 donò una pala d’argento dorato al Duomo di Grado, oggetto tuttora visibile. Tale episodio è descritto dallo storico Caprin ne « La laguna di Grado » in questi termini: « Il Cantarini reggente di quella contea nel 1372 aveva spedito ambasciatori a Venezia, scelti fra i nobili a portare grazie per il dono fatto al Duomo di una preziosa pala di argento dorato ». Verso il quattrocento la famiglia Ammazzalorsa si stabilì a Monopoli e fu ascritta a quella nobiltà.
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Dal libro Rosso di Monopoli infatti risulta che già nel 1428 Marcus Maezalorsa, nobilis, era Sindaco della Città, fra Dionisio Ammazzalorsa, Cav. Gerosolimitano, si distinse nell’ assedio posto da Solimano Imperatore Turco, nel 1552 a Rodi ed un suo nipote D. Bernardino Ammazzalorsa da Monopoli, Teatino fondò in Lecce, la Chiesa di Sant’Irene Patrona della Città.
Dal processo di nobiltà generosa, formato dal S. O. M. di Malta nel 1698 per la ricezione del milite Francesco Maria Palmieri risultano i seguenti fatti: un certificato del Sindaco ed eletti di Monopoli del 2 agosto 1698 dal quale si rileva che Giulia Ammazzalorsa moglie del detto Francesco Maria Palmieri era figlia di Paolo Antonio Ammazzalorsa discendente di Ascanio Ammazzalorsa e che la famiglia Ammazzalorsa da più di due secoli aveva goduto la nobiltà di Monopoli; un certificato del Catasto di Monopoli del 1627 dal quale risulta che Francesco Mazzalorsa era sposato a Laura Pietrarolo e che avevano discendenza in Michele, Lnciano, Mario, Paolo, Antonio, Giulia, Antonia e Lucrezia. Il Bertini Fassoni nel suo libro sul S. O. M. di Malta ricorda çhe la famiglia Mazzalorsa fu ricevuta di nuovo nell’ordine ed il processo relativo trovasi nell’Archivio di Stato di Napoli, Vol. 35 del Gran Priorato di Barletta del 1698. Traccia si riscontra della famiglia Ammazzalorsa anche a Trani ove nel 1435 viveva Ursacto Ammazzalorsa figlio di Andrea Ammazzalorsa da Venezia.
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Nel libro dell’Abate D. Alessandro Nardelli stampato a Napoli nel 1723 intitolato « La Minopoli» ossia « Monopoli manifestata » si legge tra l’altro di Don Michele Ammazzalorsa di Monopoli anche Teatino, che con la sua predicazione, bontà di vita ed esercizi cristiani tirava a Dio tutto il popolo di Napoli. Morì in Venezia con gloria nel suo convento di S. Nicolò. La famiglia Ammazzalorsa è iscritta nel libro d’oro della Nobiltà Italiana e nell’elenco ufficiale nobiliare italiano in virtù del decreto ministeriale di riconoscimento del 28 settembre 1920 col titolo di nobile di Monopoli.
Sorto da un tale albero, l’ultimo degli Ammazzolorsa non poteva tralignare. Nato Don Michele il 23 gennaio 1875 da Giovanni Ammazzalorsa e Antonia Casardi fece i suoi studi a Trani. Educato ad una seria disciplina di vita egli imparò ad essere prima un sano amministratore e poscia un signore nel vero senso della parola, abituato all’esercizio dell’equitazione e alla frequenza dei circoli mondani come quelli della caccia e degli scacchi a Roma che lo ebbero per molti anni socio diligente e devoto. Sposatosi il 14 luglio 1903 con la gentile signorina Serafina Troilo, figlia del N. U. Don Giulio e della N. D. Maddalena Pasanisi Gaetani, le dedicò premure e cure fino al giorno della sua morte, avvenuta nel 1918. Nell’amministrazione del vasto patrimonio introdusse le nuove conquiste della scienza, trasformò e bonificò molte zone in tenimento di Taranto impiantando ubertosi vigneti ed un moderno stabilimento vinicolo, riscuotendo per tali benemerenze agricole autorevoli riconoscimenti.
Nell’opera di rivalutazione ed ammodernamento del patrimonio terriero Don Michele ebbe per collaboratore attivo il suo fattore Giovanni. Preziosa che egli volle gratificare con un legato testamentario. Il febbraio 1932 presago forse della sua non lontana morte, volle con testamento olografo donare tutto il suo patrimonio al giovane Enrico Ignazio Bruni figlio del fu Ferdinando e della N. D. Lucrezia Ciani Passeri in considerazione del vincolo di parentela che lo legava a costei, che aveva avuto i natali da una discendente di D. Lucrezia Ammazzalorsa.
La notizia della morte dell’ottimo D. Michele avvenuta il 13 ottobre 1936 destò nella cittadinanza ed in tutti coloro che avevano avuto occasione di conoscerlo ed apprezzarlo un largo unanime compianto.
Tratto da “Puglia d’Oro”
L’edizione originale è disponibile nel volume “Puglia d’Oro” pubblicato dalla Fondazione Carlo Valente onlus con Edizioni Giuseppe Laterza srl, come ristampa dei tre volumi curati negli anni 1935, 1937 e 1939 da Renato Angiolillo.
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